lunedì, gennaio 25, 2010

Tutto il mondo ci ride e deride dietro

Bertolaso respinto con perdite:
ad Haiti la leadership è Usa

Frattini prende le distanze dalle accuse del capo della Protezione  Civile

Washinghton, 25 gen. (Apcom)
Il governo italiano riconosce la leadership degli Stati Uniti nel coordinamento dei soccorsi ad Haiti. E' intervenuto il ministro degli Esteri Franco Frattini per correggere il tiro delle dichiarazioni del capo della protezione civile italiana, Guido Bertolaso, secondo il quale i soccorsi ai terremotati dell'isola caraibica sono coordinati in modo 'patetico'.
Il governo italiano, ha detto Frattini,
"non si riconosce"
nelle accuse che, parlando "da giornalista", il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha rivolto agli Stati Uniti e alle organizzazioni internazionali sulla gestione degli aiuti ai terremotati di Haiti. Piuttosto, ha aggiunto il ministro italiano, è doveroso evidenziare come "generosità", "spirito umano" e "leadership" siano le qualità messe in campo dagli Stati Uniti e dal presidente Barack Obama "personalmente" di fronte "alla tragedia umana" di Haiti;
qualità verso le quali il governo italiano nutre "il massimo apprezzamento".
Oggi a Montreal, in Canada, i ministri degli Esteri di molti dei Paesi impegnati nei soccorsi ad Haiti si riuniranno per fare il punto sulla situazione umanitaria e preparare il terreno per un successivo vertice a livello di Capi di Stato e di governo che si occuperà invece della ricostruzione.
Al vertice parteciperà anche il premier haitiano Jean-Max Bellerive;
prevista la presenza del Segretario di Stato americano Hillary Clinton.


  Premetto subito che Bertolaso, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è un medico e nient’altro, tanto meno un giornalista.
Detto questo,
parrebbe che il mondo civile speri e preghi che Berlusconi, o chi per lui, si assenti da questo summit perché dopo le dichiarazioni di Bertolaso la nostra povera Italia è ritenuta inaffidabile, sprofondata in un abisso dal quale, per uscirne, ci vorranno quanto meno tre o quattro generazioni.
Fa male, tanto da trasecolare, il leggere certe dichiarazioni lanciate sia da Bertolaso che da Frattini in un incontrollato impeto di supponenza.
Da un lato siamo spinti a chiederci se il Governo italiano abbia affidato il Compartimento  della Protezione civile ad un giornalista o ad un tecnico esperto.
 A me pare che in questo caso Frattini, per tappare un buco, abbia causato con la sua “toppa” più danni dello stesso Bertolaso.
A questo punto, tra persone degne di tal nome, chi ha il potere di farlo dovrebbe cacciare dalla compagnie governativa uno dei due, se non addirittura entrambi.
Che pattume emerge dai loro comportamenti in questa occasione; e non solo per questo caso !
Tranquilli, rimarranno entrambi al loro posto perché loro agiscono e parlano non per conto proprio ma per conto altrui.
Quello del loro burattinaio.

I fiori ed il loro significato

Procediamo in ordine alfabetico.
Oggi
parliamo della
ACHILLEA


L'Achillea filipendulina è un fiore dal lungo stelo esile e all'infiorescenza gialla.
Nel linguaggio dei fiori l'achillea è il simbolo delle persone solari, essenziali, belle dentro e fuori.

Per questo ce n'è molto pochi in Italia di questi fiori.
Ma chi li trova è come se trovasse un
tesoro.
Un caro amico/a che spesso ti dà sensazioni stupende: ti incoraggia nei momenti bui, ti fa superare con il suo aiuto anche ostacoli che sembrano 
insuperabili, ecc...
E ricordate che il vero amico non è quello che ti si avvicina per asciugarti le lacrime ma colui che non ti farà mai piangere.




Staino ha fatto centro

PAROLE SANTE
BRUNETTA SENZA FRENI





Piccoletto com’è, ma questo non è colpa sua ma di un rio destino,
per farsi notare da qualcuno deve spararle di grosso.
Questa cui si riferisce la vignetta di Staino è una delle tante.
Propone il taglio delle pensioni ai padri per poter dare la paghetta ai figli.

Ma si può ? gli chiedono i cronisti.
Risposta : io può !

Il curriculum giudiziario del Presidente - 3

TUTTI I PROCESSI DEL PRESIDENTE 
DEL CONSIGLIO /3
All Iberian, Fininvest group B:
la provvista all'estero dei fondi neri del Cav.

di 

Se cercate il Big Bang primigenio della lunga vicenda giudiziaria che ha per protagonista
Silvio Berlusconi, è All Iberian.
 E’ questo il nome della società estera dietro la quale Fininvest ha operato in incognito
almeno dal 1989, creando - tra un business e l’altro - fondi neri e provviste,
pozzi miliardari presso i quali appoggiare o approvvigionare
 versamenti e mazzette estero su estero.
 Da All Iberian sono passate, dice ormai la storia, le tangenti al Psi,
quelle per l’acquisto di Telecinco in Spagna, i cartellini di qualche giocatore di serie A,
 gli affari top secret del presidente.
 Che poi sono quasi tutti diventati altrettanti processi fino - è cronaca di oggi –
alla chiusura finale del cerchio, la corruzione giudiziaria dell’avvocato Mills,
 pagato 600 mila dollari per tacere ai giudici dei maneggi che Fininvest

s’era inventata all’estero prima, durante e dopo l’arrivo di Berlusconi a Palazzo Chigi.
Ma torniamo al Big Bang.

 Il 12 luglio 1996 Berlusconi viene rinviato a giudizio per i reati di
finanziamento illecito al Psi e falso in bilancio aggravato
(guida per il lettore: d’ora in poi occhio ai reati perché cambieranno spesso forma e sostanza).
 In realtà da cinque mesi il vertice Fininvest trema in attesa di un processo che sembra
inevitabile da quando, nell’autunno 1995, il manager del Biscione Giovanni Romagnoni
 ha ammesso ciò che non era più possibile negare:
c’è Fininvest dietro All Iberian, galassia di società paravento creata a Londra
per conto del gruppo dal manager Vanoni e dall’avvocato David Mackenzie Mills.
 Di più: il fondatore di All Iberian è Giancarlo Foscale, cugino di Silvio,
 che già negli anni settanta e ottanta aveva fatto nascere e morire tre o quattro Edilnord

e un paio di Fininvest tra Roma e Milano.
Al centro del processo ci sono vari passaggi di denaro.

 Dieci miliardi di lire
 (poco più di cinque milioni di euro di oggi, ma allora con un potere d’acquisto forse triplo)
transitano tra il 15 e il 21 ottobre 1991 dal conto All Iberian della Sbs di Lugano
al conto Northern Holding della Clariden Bank di Ginevra intestato a Mauro Giallombardo, prestanome di Bettino Craxi.
 In realtà poi, conto dopo conto, il finanziamento illecito al Psi ammonterà a 22 miliardi,
versati in più rate e tramite svariati percorsi tra l’autunno del 1991 e il novembre 1992.
Sono gli anni in cui è più forte il sodalizio amicale, imprenditoriale e politico
 tra Berlusconi e Craxi che già aveva avuto il merito, immenso, di ridare vita,
a suon di decreti, alle tv private della Fininvest oscurate
da ordinanze di pretori e sentenze della Consulta.
Al centro del processo, per il capo di imputazione relativo al falso in bilancio,
ci sono anche i mille miliardi di lire che, per l’accusa, dal 1989 fino al 1996
vengono trasferiti all’estero dai manager del Biscione grazie alle 65 società di copertura
che facevano capo alla «Fininvest group B-very discreet»,

la galassia di conti stranieri off shore della holding berlusconiana.
Il 21 novembre 1996 Craxi e Berlusconi, i due soci e amici, finiscono alla sbarra nella città

che li ha visti nascere, crescere e diventare padroni d’Italia.
 In aula però quella mattina non si presentano né l’uno né l’altro
(Craxi è da tempo riparato in Tunisia).
Dei tredici imputati si fa vedere solo Anya Pieroni,
 amica di Craxi e direttore della tv romana Gbr, accusata di ricettazione
per aver incassato parte dei fondi neri del Psi.
Di quella mattinata sull’agenda dei cronisti resta il sì della Pieroni  alla richiesta
di autorizzare le riprese del processo a patto di trasmetterle solo in orari notturni.

Come se fosse un film a luci rosse.
La cronaca del processo All Iberian è il paradigma di come, da lì agli anni futuri,

Berlusconi dribblerà con costanza e pervicacia i dibattimenti in cui sarà imputato.
 Di volta in volta i suoi legali avranno un unico solo mandato:
 evitare le udienze, uccidere i processi, cancellare le accuse,
accusare i magistrati, ricusare i giudici.
 Proprio come spiegava in quella famosa intercettazione del giugno 1994 al telefono
con l’amico ex finanziere poi deputato Massimo Maria Berruti
 («...di’ che i giudici sono pazzi, che vanno contro l’interesse del paese che invece ha

bisogno di lavorare con fiducia, che sono dei nemici pubblici»).
Dopo due anni (17 giugno 1998), a un passo dalla sentenza di primo grado,

 il processo All Iberian viene fermato e diviso in due.
 Una sorte che segnerà per sempre il destino delle accuse.
All Iberian 1 (finanziamento illecito al Psi) si conclude il 22 novembre 2000
con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del reato.
In primo grado era stato condannato a 2 anni e 4 mesi e al pagamento
di una multa di dieci miliardi solo per 12 dei 22 miliardi contestati.
All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato) va avanti dal 1998 al 2005.
Le date sono importanti perché nel 2001 Berlusconi torna al governo,
ci resta saldamente fino al 2006 e l’Italia acquista dimestichezza con il genere
 tutto nostrano delle leggi su misura.
 In aula, invece, è uno show dopo l’altro dei legali del premier.
 All Iberian 2 infatti viene cancellato e fatto ripartire tre volte
(17 giugno 1998, 12 marzo 1999, 7 febbraio 2000)
per eccezioni sollevate dalla difesa
 («totale indeterminatezza dei fatti» la seconda volta; «incompatibilità di un giudice» la terza)
e accolte dal Tribunale.
 Finisce il 26 settembre 2005 con l’assoluzione di Berlusconi perché
«il fatto non costituisce più reato».
 Nel 2002, infatti, dopo sette mesi al governo, il premier modifica il diritto societario
e il reato di falso in bilancio.
 Un reato che diventa poco più di una contravvenzione.
24 gennaio 2010
segue

ADOC contro ISAE

A fine dicembre 2009
 l’Adoc, mettendo nero su bianco, affermava:
irreale il dato ISAE sulla fiducia.
La crisi ci sarà anche nel 2010

 L'Associazione consumatori Adoc sostiene che
 "Il dato Isae sulla fiducia dei consumatori in crescita non e' reale".
Si tratterebbe infatti di un dato che risulta in contraddizione con la crisi dei consumi ed il calo dell'occupazione che hanno colpito anche il Natale.
Secondo il Presidente dell'Adoc è curioso che l'Istituto di studi e analisi economica (ISAE)
abbia rilevato una fiducia dei consumatori in crescita proprio quando si avverte
 "un profondo clima di sconforto e non si intravede una immediata
ripresa economica nel 2010.
Oltretutto il dato Isae e' in contraddizione con quanto rilevato dall'Istat sulla disoccupazione, in crescita dell'8,2% e con quanto registrato dall'Adoc sulla crisi dei consumi a Natale''.
Secondo l'Adoc è diminuita la spesa procapite per i regali e la tendenza alla contrazione si registra anche sui regali aziendali.
Berlusconi aveva preso per oro colato la “leggenda” confezionata dell’ISAE in quanto gli serviva a pennello per la sua propaganda.
OTTIMISMO
su tutto il fronte economico
reclamizzava in tutte le sedi, conquistando così popolarità ed un amore sviscerato da parte di milioni di creduloni i quali, nonostante tutto, sbavavano per lui !
Chi aveva ragione ?
L’ADOC o l’ISAE ?
Frugatevi le tasche e rispondete !

Leggo sul sito ISAE:
L'ISAE è un ente pubblico di ricerca che svolge principalmente analisi e studi a supporto delle decisioni di politica economica e sociale del Governo, del Parlamento e delle Pubbliche Amministrazioni.
L'ISAE effettua, anche attraverso accordi e convenzioni con soggetti pubblici e privati, indagini presso imprese e famiglie, previsioni macroeconomiche, analisi nazionali ed internazionali e studi di macro e microeconomia della finanza pubblica. Vengono esaminate inoltre le politiche economiche di regolamentazione e le tematiche ambientali.
POTEVA COMPORTARSI ALTRIMENTI ?
Chi ce lo ha si tiene ben stretto il posto, specialmente se deve rispondere di quanto afferma ad un ministro come Tremonti e ad un Premier come quello attualmente in carica.
E
l’ADOC ?
E il sindacato dei consumatori e con le sue iniziative tende a tutelare questi ultimi.
E’ riconosciuta anche come
ENTE di PROMOZIONE SOCIALE.
A buon intenditor poche parole !





domenica, gennaio 24, 2010

Accade così nelle aule della Giustizia

Un giorno di ordinaria giustizia
di
 Giancarlo De Cataldo

La sentenza contro i “casalesi” ha raccolto un plauso totale e incondizionato.
(16 ergastoli ai componenti di questo clan tra i quali spicca anche il loro capo,
il famigerato Francesco Schiavone, detto Sandokan- mia nota).
Curioso.
In quel processo, dopo tutto, è accaduto qualcosa che accade, quotidianamente,
in altre centinaia di processi.
Bravi poliziotti e carabinieri hanno indagato, sotto la direzione di valenti Pm,
su un vasto fenomeno di criminalità organizzata;
sono stati raccolti elementi d’accusa che i Pm hanno sottoposto ai giudici;
 quegli elementi sono diventati “prove” in un pubblico dibattimento;
i Pm hanno chiesto le condanne;
 i giudici hanno accolto le richieste.
 Pura fisiologia del sistema.
 Realizzata nel rispetto delle leggi (ancora per il momento) in vigore
 e senza l’intromissione di arditi colpi d’ingegneria procedurale,
separazione delle carriere inclusa.
Desta stupore, quindi, la mancanza delle consuete critiche.
In questo caso, infatti, non si è sentito dire che i giudici
erano “appiattiti” sui Pubblici Ministeri;
nessuno si è chiesto per quale “corrente” votino, se leggano
Libero o l’Unità, il colore preferito dei calzini o la squadra del cuore;
la durata del processo, fisiologica anch’essa,
data la complessità della materia,
il numero impressionante di delitti da giudicare
e la quantità degli imputati,
 non è stata oggetto di attacchi in nome dei diritti
conculcati dei cittadini e via dicendo.
Si direbbe, insomma, che la nostra giustizia funziona benissimo.
 E non ha bisogno di riforme.
Ma, si obbietterà, quelli sono camorristi!
Quando parliamo di riforme vitali parliamo di altro.
 Cioé, esattamente, dei giudici appiattiti sui Pm,
dell’insopportabile durata dei processi;
dell’arroganza correntizia del Csm;
 della politicizzazione dell’Anm;
della preponderanza di giudici che leggono i giornali sbagliati
 e portano le calze di colori improponibili.
Parliamo di altro, mica dei “casalesi”!
*******
Questo significa parlar chiaro alla gente.
Non mistificazioni, peraltro  mal architettate,
dai vari legulei e porta voleri del padrone del vascello
Italia che sta affondando giorno dopo giorno.
E, scommetterei, che contro ogni usanza marinaresca,
il primo a fuggire a gambe levate sarebbe proprio
il padre padrone, comandante in prima,seconda e terza.
Seguirebbero i suoi porta voleri, con al seguito i loro amici, gli amici degli amici,
e tutti sino all’ultima generazione, pardon, degenerazione.
E ciò in omaggio al detto popolare
“QUANDO LA NAVE AFFONDA I TOPI SCAPPANO”.
Oramai privo di scialuppe di salvataggio, perché fregate dai personaggi più sopra indicati,
e senza vie di scampo pronto ad inabissarsi assieme
ad un vascello oramai ridotto a rottame, chi rimane in attesa di affogare ?
Parte di quel popolo italiano che lo amava, e ben gli starebbe, ma, purtroppo,
assieme a chi non l’aveva mai ritenuto degno e capace di governare.
Alla fine chi paga sono sempre i “poveri diavoli” !

Dopo i reati, la prescrizione dei processi

Processo «prescritto»,
 nonsense del diritto
di

Dietro lo pseudonimo di Sir Orwell si cela un noto operatore del diritto che, con questo articolo, dà inizio alla sua collaborazione con l’Unità. 

Un notissimo avvocato napoletano scomparso da qualche anno, quando gli capitava di parlare del processo penale e dei suoi tempi, diceva - in modo sarcastico e forse con un pizzico di scaramanzia - che

«i rinvii allungano la vita».
Ora, a parte il sarcasmo e la scaramanzia
(che evidentemente a qualcosa serve dal momento che il famoso avvocato è morto ultranovantenne), non vi è dubbio alcuno che la riforma sul “processo breve” appena licenziata dal Senato rappresenti - sotto il profilo squisitamente tecnico giuridico - un’operazione
 - tanto per usare un eufemismo –
 “discutibile”.
Essa, infatti, non fa altro che adattare, in modo piuttosto maldestro, l’istituto della prescrizione del reato - previsto e disciplinato dal nostro codice penale (sostanziale) tra le cosiddette
“cause di estinzione del reato” –

al processo penale, introducendo, dunque, quella che può essere atecnicamente definita come la prescrizione del processo. 
Non occorre essere un tecnico o un addetto ai lavori per rendersi conto che concepire una causa di estinzione del processo per prescrizione non ha proprio alcun senso.

Se, infatti, è giusto che lo Stato perda la possibilità di sanzionare un determinato soggetto una volta passato un certo periodo di tempo, lo stesso ragionamento non può essere fatto in relazione al processo penale.
 Infatti ogni vicenda processuale, è, naturalmente, costituita da una serie di atti posti in essere l’uno dopo l’altro, in modo consequenziale, che non possono, per la loro stessa natura, collocarsi, nel complesso del loro divenire, in un ambito temporale determinato come quello di un reato.
Auspicare e concepire un “processo breve” senza intervenire sul regime degli atti processuali che compongono il processo stesso, equivale a concepire un treno più corto che abbia non solo gli stessi vagoni, ma li abbia anche della stessa lunghezza.

 Ed è esattamente quanto è successo: sui singoli atti processuali non è stato previsto alcun intervento volto ad abbreviarli. 
Anzi, pare che il governo intenda fare esattamente il contrario.

Basti pensare all’annunciata modifica della norma del codice di procedura penale relativa ai testimoni della difesa che priverebbe il giudice del dibattimento della possibilità di effettuare una verifica in ordine all’utilità processuale e alla non manifesta superfluità dei testi indicati dalla difesa dando, quindi, la possibilità alla difesa stessa di citare un numero indeterminato di testi anche assolutamente inutili. *

 E dunque di allungare a dismisura i tempi del processo. 
Ciò posto, ci si domanda se, forse, non sarebbe stato meglio percorrere una strada diversa e restituire, per esempio, all’articolo 68 della Costituzione

 (modificato con legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre del 1993)
l’originario significato e l’originaria portata conferita a tale norma dai padri costituenti
- invocati ed evocati troppe volte ad intermittenza –
i quali, appunto, concepirono ed introdussero l’istituto dell’autorizzazione a procedere in ordine ai procedimenti penali riguardanti i membri del Parlamento, istituto che, magari,
potrebbe essere in qualche modo rivisitato con l’introduzione di una sorta di “inversione”
 dell’onere della richiesta (e della allegazione), prevedendo, per esempio, che,
nel caso in cui vi siano i presupposti per sottoporre a procedimento penale un parlamentare,
non debba essere l’autorità giudiziaria procedente a prendere l’iniziativa formulando l’istanza di autorizzazione a procedere, ma piuttosto lo stesso parlamentare ad investire la Camera di appartenenza, chiedendo alla stessa di delibare e di pronunciarsi sulla possibile sussistenza,
 nei suoi confronti, del famoso fumus persecutionis.
 Inversione questa che, comunque, imporrebbe alla Camera di appartenenza

 un onere di motivazione sicuramente più pregnante, con una conseguente maggiore responsabilizzazione. 
Forse - e vale la pena sottolineare forse - una simile soluzione avrebbe evitato il frenetico susseguirsi e il rincorrersi di “lodi” diversamente nominati ma comunque tendenti al medesimo obbiettivo, e, soprattutto, avrebbe evitato la cancellazione di centinaia e centinaia di processi penali, molti dei quali riguardanti reati gravissimi e la conseguente frustrazione degli interessi dello Stato e di centinaia e centinaia di parti offese, alle quali la riforma sul cosiddetto “processo breve” negherà il riconoscimento delle proprie ragioni nella sede naturale del processo penale.

Per concludere, a noi non resta che cercare di immaginare come avrebbe commentato e cosa avrebbe detto della recente riforma il sopra menzionato noto avvocato e giurista;
purtroppo non lo sapremo mai, lui è scomparso ultranovantenne qualche anno fa.
23 gennaio 2010
*****
Avanti di questo passo si arriverà sino al punto che sarà l’avv. Ghedini ed i suoi alter ego
 a dirigere il dibattimento e, col passar del tempo, salvo un cambio politico a livello nazionale,
a scrivere ogni sentenza.

Sia in primo che secondo grado.
In Cassazione tutti i processi riguardanti pezzi da novanta ad un certo magistrato dal cognome

carnascalesco.