domenica, gennaio 24, 2010

Dopo i reati, la prescrizione dei processi

Processo «prescritto»,
 nonsense del diritto
di

Dietro lo pseudonimo di Sir Orwell si cela un noto operatore del diritto che, con questo articolo, dà inizio alla sua collaborazione con l’Unità. 

Un notissimo avvocato napoletano scomparso da qualche anno, quando gli capitava di parlare del processo penale e dei suoi tempi, diceva - in modo sarcastico e forse con un pizzico di scaramanzia - che

«i rinvii allungano la vita».
Ora, a parte il sarcasmo e la scaramanzia
(che evidentemente a qualcosa serve dal momento che il famoso avvocato è morto ultranovantenne), non vi è dubbio alcuno che la riforma sul “processo breve” appena licenziata dal Senato rappresenti - sotto il profilo squisitamente tecnico giuridico - un’operazione
 - tanto per usare un eufemismo –
 “discutibile”.
Essa, infatti, non fa altro che adattare, in modo piuttosto maldestro, l’istituto della prescrizione del reato - previsto e disciplinato dal nostro codice penale (sostanziale) tra le cosiddette
“cause di estinzione del reato” –

al processo penale, introducendo, dunque, quella che può essere atecnicamente definita come la prescrizione del processo. 
Non occorre essere un tecnico o un addetto ai lavori per rendersi conto che concepire una causa di estinzione del processo per prescrizione non ha proprio alcun senso.

Se, infatti, è giusto che lo Stato perda la possibilità di sanzionare un determinato soggetto una volta passato un certo periodo di tempo, lo stesso ragionamento non può essere fatto in relazione al processo penale.
 Infatti ogni vicenda processuale, è, naturalmente, costituita da una serie di atti posti in essere l’uno dopo l’altro, in modo consequenziale, che non possono, per la loro stessa natura, collocarsi, nel complesso del loro divenire, in un ambito temporale determinato come quello di un reato.
Auspicare e concepire un “processo breve” senza intervenire sul regime degli atti processuali che compongono il processo stesso, equivale a concepire un treno più corto che abbia non solo gli stessi vagoni, ma li abbia anche della stessa lunghezza.

 Ed è esattamente quanto è successo: sui singoli atti processuali non è stato previsto alcun intervento volto ad abbreviarli. 
Anzi, pare che il governo intenda fare esattamente il contrario.

Basti pensare all’annunciata modifica della norma del codice di procedura penale relativa ai testimoni della difesa che priverebbe il giudice del dibattimento della possibilità di effettuare una verifica in ordine all’utilità processuale e alla non manifesta superfluità dei testi indicati dalla difesa dando, quindi, la possibilità alla difesa stessa di citare un numero indeterminato di testi anche assolutamente inutili. *

 E dunque di allungare a dismisura i tempi del processo. 
Ciò posto, ci si domanda se, forse, non sarebbe stato meglio percorrere una strada diversa e restituire, per esempio, all’articolo 68 della Costituzione

 (modificato con legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre del 1993)
l’originario significato e l’originaria portata conferita a tale norma dai padri costituenti
- invocati ed evocati troppe volte ad intermittenza –
i quali, appunto, concepirono ed introdussero l’istituto dell’autorizzazione a procedere in ordine ai procedimenti penali riguardanti i membri del Parlamento, istituto che, magari,
potrebbe essere in qualche modo rivisitato con l’introduzione di una sorta di “inversione”
 dell’onere della richiesta (e della allegazione), prevedendo, per esempio, che,
nel caso in cui vi siano i presupposti per sottoporre a procedimento penale un parlamentare,
non debba essere l’autorità giudiziaria procedente a prendere l’iniziativa formulando l’istanza di autorizzazione a procedere, ma piuttosto lo stesso parlamentare ad investire la Camera di appartenenza, chiedendo alla stessa di delibare e di pronunciarsi sulla possibile sussistenza,
 nei suoi confronti, del famoso fumus persecutionis.
 Inversione questa che, comunque, imporrebbe alla Camera di appartenenza

 un onere di motivazione sicuramente più pregnante, con una conseguente maggiore responsabilizzazione. 
Forse - e vale la pena sottolineare forse - una simile soluzione avrebbe evitato il frenetico susseguirsi e il rincorrersi di “lodi” diversamente nominati ma comunque tendenti al medesimo obbiettivo, e, soprattutto, avrebbe evitato la cancellazione di centinaia e centinaia di processi penali, molti dei quali riguardanti reati gravissimi e la conseguente frustrazione degli interessi dello Stato e di centinaia e centinaia di parti offese, alle quali la riforma sul cosiddetto “processo breve” negherà il riconoscimento delle proprie ragioni nella sede naturale del processo penale.

Per concludere, a noi non resta che cercare di immaginare come avrebbe commentato e cosa avrebbe detto della recente riforma il sopra menzionato noto avvocato e giurista;
purtroppo non lo sapremo mai, lui è scomparso ultranovantenne qualche anno fa.
23 gennaio 2010
*****
Avanti di questo passo si arriverà sino al punto che sarà l’avv. Ghedini ed i suoi alter ego
 a dirigere il dibattimento e, col passar del tempo, salvo un cambio politico a livello nazionale,
a scrivere ogni sentenza.

Sia in primo che secondo grado.
In Cassazione tutti i processi riguardanti pezzi da novanta ad un certo magistrato dal cognome

carnascalesco. 

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